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domenica 30 ottobre 2011

Le origini di Ognissanti e Halloween



Una tra le feste che negli ultimi anni si sta imponendo di più,  soprattutto fra i giovani, è quella di Halloween.
Nonostante si tratti di una festività tipica dell’Irlanda e dei  paesi anglosassoni, da qualche tempo si sta diffondendo anche in Italia come una delle tante mode provenienti dalla tradizione e dalla cultura  americane.
L’usanza di mascherarsi per la “Notte delle Streghe” è diventata il  passatempo preferito di molti giovani che, proprio  in questo periodo,  organizzano feste e ricevimenti in puro stile americano.
A proposito della tradizionale zucca di Halloween, vi è una vecchia  leggenda irlandese che narra di un fabbro, Jack O’Lantern, il quale, ubriacone e spilorcio, si prese gioco del diavolo riuscendo a fargli promettere di non reclamare mai la sua anima.
Il fabbro però, a causa del bere smodato, morì poco dopo improvvisamente, senza riuscire a chiedere perdono dei propri peccati.
Nell’aldilà, dunque, non fu accolto né in Paradiso né all’Inferno.
Ma il diavolo, mosso a pietà del povero fabbro, gli scagliò un tizzone ardente che Jack O’Lantern pose all’interno di una grossa rapa che egli stesso aveva intagliato, ricavandone una lanterna affinché non si perdesse nell’Oltretomba nel suo peregrinare eterno e senza méta.
Originariamente, quindi, la lanterna della tradizione era solo una rapa che venne sostituita poi con una zucca, forse perché più facile da intagliare.
Anche se apparentemente sembra che la celebrazione di Halloween non ci appartenga, almeno nella classica usanza di mascherarsi e di esporre zucche vuote illuminate, in realtà la notte fra il  31 ottobre e il 1° novembre rappresenta una festività che risale alle  nostre più antiche tradizioni.
La celebrazione cattolica di Ognissanti mostra solo il pallido ricordo della ben più antica festa di  Samhain risalente agli antichi celti.
In generale siamo propensi ad immaginarci i celti come un popolo appartenente alle regioni nord occidentali dell’Europa, ma forse qualcuno ignora che in tutta Italia vi sono stati parecchi insediamenti celtici.
Tutto il nord Italia, ad esempio, dalla Valle d’Aosta al Piemonte, dal Veneto all’Emilia fino alle Marche, è stato colonizzato da queste popolazioni sempre temute dai romani e con una cultura notevole per  l’epoca.
A titolo di curiosità, tutti i nomi di città, fiumi e paesi che terminano in aco, ago, ico, igo (Giussago, Rovigo), in ate (Gallarate, Andrate), in visio o viso (Treviso, Monviso) e in duno o uno (Belluno), indicano una presenza celtica che si è protratta abbastanza a lungo per lasciare il segno sulla denominazione di tali località. Si possono persino trovare parecchi reperti o rocce celtiche frugando tra le valli alpine del Piemonte, della Valle d’Aosta e della Liguria.
Premesso ciò, non è difficile immaginare che feste  come quella di Samhain, che iniziava proprio la notte del 31 ottobre, possa essere rimasta ancora oggi come tradizione popolare. Il calendario celtico prevedeva quattro grandi festività che davano inizio alle quattro stagioni; vi erano poi anche altre quattro celebrazioni minori che si tenevano nei giorni centrali di questi periodi. L’anno iniziava proprio con  Samhain il 1° novembre, cui seguivano Imbolc il 1° febbraio,  Beltaine il 1° maggio e infine  Lugnasad il 1° agosto.
La festività che ci interessa trattare è quella di  Samhain, che letteralmente vuol dire “Riunione” o “Raccolto”; essa indicava la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. 
Potremmo pensare a tale festa come ad una sorta di Capodanno poiché, nei tradizionali rituali, il fuoco acceso e spento  e poi nuovamente acceso il giorno dopo sottolineava l’idea di un giorno statico, come chiuso e fuori dal tempo, una sorta di circolo perfetto. 
Per i celti questa ricorrenza era un’importante occasione sia religiosa che sociale, ma soprattutto essa rappresentava il momento di inizio per una nuova nascita e crescita sia delle messi che di qualsiasi attività si dovesse intraprendere nei villaggi.
La notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre era quindi un momento di passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo. Era considerato il momento cruciale dell’anno in cui tutto poteva
accadere e in cui si poteva decidere del destino del futuro anno. Secondo la mitologia irlandese e gallica, attraverso i vari riti propiziatori praticati in questo giorno, gli spiriti disincarnati (e con questi si intendevano anche fate, folletti e ninfe  dei boschi oltre ai trapassati), abitando in una zona atemporale, quasi neutra, potevano attraversare il confine del loro mondo per giungere nel nostro; solo in questo giorno, infatti, si poteva comunicare con gli immortali e riceverne consigli e predizioni per il futuro. I druidi, sacerdoti degli antichi culti, scrivevano messaggi per i defunti utilizzando le rune e li affidavano al fuoco perché questo, bruciandoli, li trasportasse nel regno dell’Oltretomba.
La festa si protraeva da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei settimane e in questi giorni si danzava fino allo sfinimento, si beveva e mangiava oltre misura e si compivano sacrifici che, secondo alcune fonti, potevano anche includere esseri umani. In generale si eseguivano riti per propiziare la fertilità della terra e per chiedere agli spiriti della natura di proteggere i futuri raccolti e di renderli abbondanti. Per mezzo di questi banchetti sontuosi, si nutrivano i morti lasciando i resti del cibo nelle mense durante la notte affinché i defunti potessero banchettare dopo i vivi, tradizione questa ancora oggi in uso in Sicilia e in altre regioni meridionali. Il fuoco acceso in un immenso falò rappresentava il sole che, come in altre culture, ad esempio del Mesoamerica, doveva essere costantemente rinvigorito affinché non abbandonasse i mortali. Di conseguenza, dal falò acceso si portavano in giro delle torce con cui si accendeva il nuovo fuoco in ogni casa.
Inoltre,  Samhain era il giorno in cui, oltre agli spiriti buoni, avevano facoltà di accedere al mondo degli uomini anche gli spiritelli cattivi e le fate malefiche che potevano rovinare i futuri raccolti e persino rapire i bambini nelle proprie culle. Ecco allora che il fuoco teneva lontano questi esseri e proteggeva le case, a patto di restare acceso tutta la notte. Da come si può notare,  Samhain possiede delle analogie con molte feste popolari di tutto il mondo e ricorda anche i Saturnali romani che si celebravano in ricordo della mitica età dell’oro e nei quali si danzava, banchettava e si scambiavano doni, tradizione anche questa che è rimasta in uso nel meridione d’Italia nella classica festa dei “Morti” il 2 novembre. Col tempo questi rituali vennero modificati anche per il sopraggiungere del cristianesimo e molte delle festività celtiche furono conglobate in feste cristiane tenute però proprio nei giorni delle antiche feste pagane.
Per gli antichi celti la morte non rappresentava la fine, ma solo una tappa che conduceva verso altri stati dell’essere, in mondi in cui eroi ed esseri immortali vivevano felici per sempre. Proprio questa visione della morte, come passaggio e non come fine, come soglia e non come limite, fece sì che la fede  cristiana potesse essere accettata tanto rapidamente dalle popolazioni celtiche verso le quali si recavano i primi missionari cristiani.
La grande spiritualità dell’anima celtica nella  “sacra” terra d’Irlanda, ad esempio, fu il motivo per cui essa fu facilmente “conquistata” dal cristianesimo e dal suo messaggio di speranza  e di fede.
Come si vede, dunque, le origini della festa di Ognissanti sono da ricercare anche nell’atavico passato della nostra cultura e fanno parte delle tradizioni che ci riguardano da molto vicino.
Che poi si voglia porre davanti alla porta di casa  una zucca vuota con una candela accesa dentro e si vada a feste e ricevimenti mascherati da conte Dracula, non inficia di certo una festività che ha la sua origine nell’antica cultura celtica.


E oggi?

La festa di Tutti i Santi, è una giornata di gioia, di spe­ranza, di fede. Una delle giornate più intelligenti, più raf­finate che la liturgia ci propone; è la festa di tutta l'umanità, del­l'umanità che ha sperato, che ha sofferto, che ha cercato la giusti­zia, dell'umanità che sembrava perdente e invece è vittoriosa. E’ la festa di Tutti i Santi, non solo di quelli segnati sul calen­dario e che veneriamo sugli alta­ri, ma anche di quelli che sono passati sulla terra in punta di pie­di, senza che nessuno si accor­gesse di loro, ma che nel silenzio del loro cuore hanno dato una bella testimonianza di amore a Dio e ai fratelli, forse parenti no­stri, amici, forse nostro padre, nostra madre, umili creature, che ci hanno fatto del bene senza che noi neppure ci accorgessimo. Ho letto di un anziano parro­co di campagna che nel giorno di Tutti i Santi, per far capire al­la sua gente che si dovevano ri­cordare tutti i cristiani santi che stanno in Paradiso toglieva le im­magini e le statue dagli altari. U­na stranezza se volete, ma che voleva anche sottolineare il fatto che di solito, una volta che ab­biamo messo i santi sugli altari, li ammiriamo, li invochiamo, ma non li imitiamo, perché pensiamo che siano troppo eroi per vivere come loro. Ma non è così. Nella festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci dice che i santi sono uomini e donne comuni, una mol­titudine composta di discepoli di ogni tempo che hanno cercato di ascoltare il Vangelo e di metter­lo in pratica. Sono questi i santi che salva­no la terra. C'è sempre bisogno di loro. È in virtù dei santi che so­no sulla terra, che noi continuia­mo a vivere, che la terra continua a non essere distrutta, nonostan­te il tanto male che c'è nel mon­do. Ed è in virtù dei santi di ieri, dei santi che sono già salvati e che intercedono per noi: "una molti­tudine immensa che nessuno può contare, di ogni nazione, popolo e lingua". La definizione più bella dei santi è quella che ho sentito da un bambino di una scuola materna. La maestra aveva portato la sua classe a visitare una chiesa con le figure dei santi sulle vetrate lu­minose. A scuola di catechismo ho domandato ai bambini: Chi sono i santi? Un bambino mi ha risposto: "Sono quelli che fanno passare la luce". Stupenda defi­nizione: i santi fanno passare la luce di Dio che continua ad illu­minare il mondo. Nella festa di Tutti i Santi, noi celebriamo la gioia di essere an­che noi chiamati alla santità, per­ché ci è stato detto che abbiamo un cuore che batte come figli di Dio. Ci pensiamo? E San Gio­vanni che ce lo ricorda: "Caris­simi vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo veramente... ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sap­piamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo si­mili a lui, perché lo vedremo co­sì come egli è". Ma quale è la strada della san­tità? Gesù ce l'ha indicata con l' annuncio delle beatitudini che sono la sintesi del Vangelo, lo specchio di fronte al quale ogni discepolo di Cristo deve con­frontarsi. È il portale d'ingresso del Discorso della Montagna, la "carta costituzionale del cristia­nesimo". Ogni regno ha le proprie leg­gi. Le beatitudini sono la legge del Regno di Dio. Chi le osserva entra nella felicità del Regno. Questo dobbiamo capire. Dio ha posto nel nostro cuore la vocazione alla felicità, come ul­timo segno della nostra somi­glianza con Lui. Dio è il Sommo bene, il Beato per eccellenza. Per essere figli di Dio bisogna esse­re felici.

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