C’è chi pensa che la felicità sia una cosa seria. Qualcuno pensa pure che sia sempre in là rispetto a quello che siamo e che viviamo. Forse si convince che prima o poi, lavorando sodo, arrivi, la felicità.
Mah.
Io invece penso che la felicità sia una cosa semplice e piccola, così piccola che non la vediamo. Penso pure che se ti fai il mazzo per essere felice dopo o chissà quando, ti perdi tutto il bello. Penso che se uno deve lavorare sodo perché arrivi la felicità, tanto vale starsene nell’infelicità, annegare nella sfiga, recriminare, incazzarsi e litigare con chi capita: magari c’è più gusto.
Allora è così, mi dico: la felicità è dentro e fuori di me. E’ inutile che mi faccio fregare dallo stress, che do ragione a chi piagnucola, che mi perdo in cose che non ho. La felicità ce l’ho nelle tasche, tra le mani e negli occhi.
E’ così leggera, allegra e divertente che sembra una di quelle sigle TV di una volta, una di quelle canzoni che imparavi subito e non scordavi più. Magari la ballavi pure, imitando la Carrà o Heather Parisi. “Felicità tà tà”, cantava proprio così Raffaella nella sigla di Canzonissima del 1974.
“Felicità tà tà l'accento sulla a/ma si ma si/buttiamola così…” decido anch’io di fare così. Perché se penso a dopo la felicità di oggi me la perdo tra le cartacce, tra la polvere, gli impegni e le mille cose da fare “prima”. E non sono mica scema.
Sorrido, invece. Lo faccio sempre se posso essere felice anche per un minuto. Allungo di proposito il percorso in macchina se sto ascoltando una canzone che mi piace. Anzi, alzo il volume e tengo il tempo. Rido delle facce buffe che fanno i miei bimbi a scuola. Osservo stupita lo sguardo dei miei genitori, che mi raccontano il mondo a modo loro, sorrido per il tempo che posso dedicare a chi amo e a ciò che mi piace e faccio con passione quello che più mi appartiene.
Comunque mi fermo e sorrido, anche se tutto è ancora da fare. Anche se la vita qui è ancora da inventare. Ma se oggi penso alla felicità tà tà, almeno posso dire che io sono qua da ran da ran.
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